La Terapia Cognitivo-Comportamentale della dipendenza da sostanze

Nella Terapia Cognitivo Comportamentale standard, i Disturbi da uso di Sostanze, analogamente ad altre patologie, sono considerati una forma di comportamento appreso. Si parla di addiction intendendo le dipendenze che si sviluppano in relazione a una sostanza psicoattiva, legale o illegale, e le dipendenze comportamentali quali il gioco d’azzardo compulsivo. La psicologia Cognitivo Comportamentale ha apportato notevoli contributi alla clinica delle dipendenze, sia sul piano della comprensione teorica che sul piano delle tecniche di trattamento. Per contro, le dipendenze, hanno rappresentato una sfida per tutte le teorie psicologiche e hanno contribuito ad evidenziare quelle che sono state definite “anomalie empiriche” (Hayes et al. 2004).
Lo sviluppo di una dipendenza è un fenomeno multidimensionale, dalla causalità complessa e non lineare, determinato dalla combinazione tra fattori di vulnerabilità e fattori precipitanti. Una volta che la dipendenza si è strutturata, essa determina una particolare modalità di funzionamento (a livello motivazionale, cognitivo-emotivo e relazionale) che per lungo tempo può risultare egosintonica. L’egosintonicità delle dipendenze fa si che i dipendenti esprimano al massimo grado l’implicita ambivalenza presente in ogni terapia. La dipendenza è una strategia adattiva, se pur disfunzionale, che funge da filtro selettivo degli stimoli, finalizzata a ridurre la discrepanza tra scopi e realtà. Quando una dipendenza perdura da molti anni, finisce per influenzare il funzionamento psichico globale dell’individuo.
A livello cognitivo, nelle dipendenze sono riscontrabili tre modalità disfunzionali tipiche: (a) la pervasiva presenza di una oscillazione tra i poli della dipendenza vs indipendenza; (b) l’evitamento degli stati mentali; (c) l’espressione e la regolazione degli stati emotivi attraverso il corpo. Chiunque abbia incontrato una persona con DUS si è sentito dire che il riavvicinamento alla sostanza costituisce il modo per mettersi alla prova rispetto alla propria capacità di controllo, ovvero per affermare la propria indipendenza. Tale sfida è proprio alla base di numerosi episodi di ricaduta. La seconda strategia disfunzionale è rappresentata dall’evitamento della mentalizzazione. Taluni stati mentali sono ritenuti intollerabili e assimilati ad una indifferenziata condizione di sofferenza. Le emozioni sono evitate con l’ausilio delle sostanze. La terza strategia disfunzionale riguarda la regolazione emotiva, intesa come capacità di rispondere al distress in modo adattivo. La capacità di regolazione è un costrutto multifattoriale che dipende (a) dalla consapevolezza, comprensione e accettazione delle emozioni; (b) dalla abilità di intraprendere un comportamento finalizzato a un obiettivo, inibendo comportamenti impulsivi; (c) uso flessibile di strategie appropriate alla situazione, per modulare l’intensità o la durata della risposta emotiva; (d) dalla capacità di esperire e tollerare le emozioni negative come parte del processo di attribuzione di significato alle proprie esperienze di vita (Gratz, 2007). L’uso di sostanze è un tentativo disfunzionale di evitare e di regolare le emozioni, attraverso l’alterazione dello stato di coscienza ed il raggiungimento, con un’azione sul corpo, di una condizione di temporaneo benessere.
Le ricerche epidemiologiche hanno confermato un’alta concorrenza tra DUS e altri disturbi psicopatologici. L’elevata comorbilità conferma la presenza di una interazione circolare tra i diversi disturbi, che implica una notevole variabilità dei quadri clinici. Si possono avere scenari quali: (1) le droghe innescano i sintomi di un’altra malattia mentale; (2) la malattia mentale porta all’uso di droghe; (3) sia il DUS che il disturbo mentale sono causati da fattori convergenti. Oltre alla loro stretta associazione con gli altri disturbi mentali, i DUS si caratterizzano per elevata impulsività, nonché elevata reattività emotiva e scarsa regolazione delle emozioni. Molti soggetti con DUS presentano caratteristiche della personalità borderline, quali impulsività e disregolazione emotiva, che si affrontano in psicoterapia non appena la dipendenza sia in fase di remissione o almeno stabilizzata.
Le dipendenze sono riconosciute come una patologia recidivante e la Terapia di Prevenzione delle Ricadute (Relapse Prevention Therapy, Marlatt & Gordon, 1985) ha rivoluzionato la cura delle stesse, contribuendo allo sviluppo di protocolli efficaci per specifiche dipendenze (Carroll, 2001). Anche l’approccio RPT ha visto l’integrazione della mindfulness, in quanto le tecniche cognitivo-comportamentali standard si sono dimostrate inefficaci o insufficienti nella gestione, ad esempio, del craving. Marlatt e Gordon suggeriscono di assumere un atteggiamento di accettazione quando sperimentano il craving, utilizzando la metafora del surfing (cavalcare l’onda dell’impulso). La metafora del surfing aiuta a divenire consapevoli della transitorietà dell’urgenza e permette di far diminuire il senso di ineluttabilità che accompagna il craving. Questo è un esempio di integrazione di una strategia di mindfulness nella terapia del DUS. L’uso delle strategie di coping tradizionali rischierebbe di rinforzare l’idea del controllo, con conseguente aumento dell’evitamento dell’esperienza spiacevole, spontaneamente presente nel soggetto con DUS ed alla base del suo ricorrere alla sostanza.
La terza generazione della Psicoterapia Cognitivo e Comportamentale, può fornire un contributo rilevante alla clinica dell’addiction, sia per ciò che concerne la relazione terapeutica e la formulazione del modello teorico, sia per l’utilizzo delle tecniche che le sono proprie. La mindfulness appare promettente in quanto lo stato di consapevolezza che aiuta a perseguire è antitetico rispetto a quanto accade nei disturbi impulsivi come i DUS. Se vi è grave comorbilità e un ridotto monitoraggio meta cognitivo, manca la consapevolezza di ciò che passa nella mente e vi è un passaggio all’urgenza, all’agito. Inoltre il senso di urgenza e di inevitabilità si accompagna a pensieri ed emozioni molto disturbanti e dannosi: perdita di controllo sulla propria vita, senso di vuoto, angoscia generalizzata. Lavorare con la mindfulness può risultare uno strumento efficace proprio nel migliorare la meta cognizione e la regolazione emotiva, riducendo l’impulsività. Nell’approccio ACT riveste particolare importanza l’accettazione, intesa come atteggiamento di base: accettazione del terapeuta nei confronti del paziente e della sua patologia ed accettazione del paziente nei confronti di sé stesso. È evidente quanto tale atteggiamento sia più rilevante nel merito di disturbi oggetto di pregiudizi e stigma sociale come i DUS.